Il disastro linguistico
Tutti dottori, ma analfabeti con la penna in mano
I dati sconfortanti di un sondaggio internazionale. Michele Cortelazzo: «Istituiamo corsi obbligatori»


di Paolo Vigato

Analfabeti con la laurea. Hanno suscitato raccapriccio i dati sull’Italia dei dottori che leggono pochissimo e che – ancor più grave per gli effetti pratici – non sanno scrivere. Al problema Repubblica ha dedicato un'inchiesta di tre pagine grondanti allarme e preoccupazione. I dati sono quelli di un report del ramo italiano dell'indagine All-Ocse, che peraltro confermano quanto già rilevato dall'Istat. Il 21% dei nostri dirigenti, imprenditori e liberi professionisti rivela di non leggere mai libri; percentuale che si attesta al 7% tra i laureati in genere, mentre altrettanti sono coloro che dichiarano di leggerne solo per motivi professionali. Sempre fra i laureati, il 36% possiede meno di 100 libri, il 73% non va mai in biblioteca e tra chi ci va (poco) il 58,5% lo fa esclusivamente per lavoro.

Quanto alla scrittura, a destare sensazione sono state le notizie sul maxi-concorso di un mese fa a Roma per l'accesso alla magistratura, preso d'assalto da 4 mila candidati ai 380 posti in palio: dei quali 58 sono rimasti scoperti in quanto 3.700 dei pretendenti, naturalmente tutti laureati (e diversi anche con più titoli) hanno presentato elaborati giudicati «irricevibili» sul piano puramente linguistico, per eccesso di sgrammaticature e per incongruenze nell'esposizione.

Non si fascia la testa il professor Michele Cortelazzo, vice preside della Facoltà di Lettere dell'Università di Padova dove insegna linguistica italiana al corso di laurea in Scienze della Comunicazione che ha presieduto fino a poco tempo fa. Cortelazzo è celebre per frizzanti studi che hanno rilevato le malefatte linguistiche del burocratese e del politichese, e ha lanciato ripetuti Sos per la tutela dell'italiano, minacciato di sparizione dal dilagare dell'inglese. «Il malato è grave», concorda, «ma può essere curato. Attenzione intanto a non sbagliare la diagnosi. La vera questione non è che oggi i nostri laureati e i dirigenti scrivano peggio di ieri, cosa non dimostrata: ma che il reclutamento della classe dirigente nazionale si è enormemente allargato, per l'aumento appunto dei laureati in un paese che pure continua a produrne parecchi di meno rispetto alla concorrenza internazionale. Per cui il punto è: possiamo permetterci di avere professionisti che non sanno scrivere? Chiaro che, anche per operatori magari tecnicamente bravissimi nel proprio campo, la difficoltà di scrittura costituisce un handicap pesantissimo. Perché avere problemi di scrittura, attività complessa per eccellenza, quasi automaticamente significa che se ne hanno anche nell'organizzazione del proprio e dell'altrui lavoro, così come nella capacità di sintesi. E non vale l'obiezione "cosa conta scrivere bene? l'essenziale è che ci si capisca". No, il fatto è che l'essere bravo, ad esempio, a dipingere o a comporre canzoni, può non avere alcuan incidenza sugli esiti profesisonali di un magistrato o di un funzionario o di un ingegnere, mentre le carenze linguistiche ne hanno sempre. I campi in cui la parola scritta è ancora dominante sono tanti e importanti. Che viviamo nella società delle immagini è, ma queste non hanno sostituito le parole bensì si sono ad esse affiancate. E l'internet è un universo in cui trionfa la parola, scritta su video anziché su carta».

«I dati di All-Ocse», prosegue Cortelazzo, «rappresentano in realtà la logica "continuazione" di quelli rilevati dall'indagine Pisa-Ocse nella seconda metà degli anni '90 tra gli adolescenti, che pure avevano sollevato scalpore evidenziando l'analfabetismo dei quindici-diciottenni di allora: ecco, gli odierni imbarazzi di scrittura degli adulti palesano i risultati di quelle carenze di dieci anni fa. Handicap che nascono nell'ambiente famigliare, e benemerita è stata una campagna lanciata dall'associazione pediatri affinché i genitori leggano racconti scritti ai figli fin dalla prima infanzia. Anche adesso, molto più che ignoranti sono disinteressati. Quanto all'università, particolarmente ci si sta muovendo nel Veneto e si può fare di più. Ca' Foscari per prima ha introdotto con il collega Francesco Bruni il Sis, servizio di italiano scritto, ben fruito specie dagli studenti di Economia. Noi a Padova teniamo dei corsi di scrittura aperti a ogni Facoltà. Sarebbe cruciale che per la riforma del sistema "3+2" si prescrivesse obbligatoriamente per tutte le lauree, oltre alle basi di informatica e all'inglese, la formazione alla lingua italiana scritta».



«Il Mattino di Padova», domenica 10 febbraio 2007, p. 48