"THE TIME" DENUNCIA
L'italiano contaminato da troppi termini inglesi

"Week-end" invece di "fine settimana", "outlet" invece di "spaccio", "cocktail party" invece del più elegante "ricevimento", "meeting" invece di "incontro, "personal trainer" invece di "allenatore", "tutor" invece del più aulico "tutore", "coffee break" invece del semplicissimo "pausa caffè". La lista delle espressioni e dei termini inglesi che "contaminano" la lingua di Dante si allunga progressivamente ed inesorabilmente, con ovvie conseguenze sul futuro di uno degli idiomi più belli e ricchi del mondo, il nostro, appunto.

A lanciare l'allarme non è l'Accademia della Crusca, bensì il prestigioso quotidiano britannico "The Times", in un lungo articolo pubblicato il 9 ottobre scorso. Riprendendo un'intervista a Michele Cortelazzo, noto italianista e ordinario di Grammatica italiana del nostro ateneo, il quotidiano londinese denuncia un "bastardisation", l'"imbastardimento" della lingua italiana ad opera del "massiccio influsso" di termini inglesi, anche nei casi in cui, sottolinea Cortelazzo "esisterebbe l'adeguato e corretto equivalente in italiano".

Il fenomeno è relativamente recente (nei libri di Pirandello o Sciascia è infatti ben difficile trovare anglicismi), e sebbene «la tendenza al forestierismo esista in tutte le lingue europee - spiega il linguista - da noi, però, c' è una massiccia influenza di termini inglesi, anche quando potrebbero essere sostituiti con efficacia dai corrispettivi italiani: non ci si ferma a pensare se "trend" voglia dire la stessa cosa di "tendenza", se "flop" si può dire "fiasco". Una pigrizia che forse ha anche altri motivi. E' ovvio infatti che l'italiano che usa il termine "lunch" invece di "pranzo", o "jet lag" invece di "fuso orario" palesa evidentemente una latente necessità di esibire una cultura che non possiede e poco giustificabili velleità esterofile, che nulla hanno a che fare con una fisiologica evoluzione delle lingue».

«Gli Italiani - prosegue Cortelazzo - sembrano irresistibilmente attratti dal fascino esotico delle parole straniere, anche nelle più alte sfere. Prendiamo il caso di "governance", sostituito, nei documenti dell'Unione ai tempi della presidenza Prodi, dalla traduzione nelle diverse lingue: francese "gouvernance", spagnolo "gobernanza". Solo l'italiano usa l'anglicismo "governance"». Esterofilia che sconfina nel provincialismo più sordido qualora gli stessi inglesi si chiedono come mai gli italiani usino parole maccheronicamente anglicizzate "footing", "slip", "golf" o "tight" che, ironizza il Times, risultano assolutamente incomprensibili per un madrelingua inglese.

Eppure, la "serva Italia", come direbbe l'Alighieri, assorbe come una spugna ogni possibile surrogato linguistico delle nobilissime parole italiane. Tanto che, sottolinea il Times, dal 1990 sono circa 1500 i termini inglesi entrati nella lingua quotidiana. Irreversibilmente, senza ritorno. Erodendo gli equivalenti termini italiani, che cadono in disuso e scompaiono dal nostro patrimonio linguistico per sempre. È capitato a "manager", che ha cannibalizzato "dirigente", o "shopping" che sta facendo scomparire "acquisti". «Quando una parola si insedia in una lingua - afferma infatti Cortelazzo - voler tornare indietro è un gioco ozioso».

«E tuttavia - commenta il professore - importante è non esagerare con i vezzi. In Italia servirebbe una sorta di "centro di orientamento" che studi il fenomeno, aiuti a capire in quali casi l'inglese è la soluzione migliore, in quali no, per evitare eccessi e distorsioni».

Silvia Gross

«Il Gazzettino», Edizione di Padova, giovedì 2 novembre 2006, p. VI