Comunicazione istituzionale nelle consultazioni popolari

Giovanni Sartori, nell’editoriale pubblicato nel «Corriere della sera» di sabato 24 giugno sul referendum ora in corso, ha osservato «che dopo un mese e passa di disinformazione il grosso dei votanti sa a malapena di che cosa si parli». Non commento, nel giorno delle elezioni, se ci sia stata disinformazione; certamente non c’è stata informazione; e, per essere più precisi, non c’è stata informazione istituzionale. Cosa intendo con questo? Intendo che bisognerebbe imparare dai paesi con più lunga vocazione referendaria, come la Confederazione Elvetica.

In Svizzera, in quelle che lì sono chiamate votazioni popolari, la Confederazione invia agli elettori un opuscolo di spiegazioni sull’oggetto del referendum, con le posizioni delle parti in campo. Perché anche in Italia non si fa così? Certo, è difficile delimitare con facilità il confine tra informazione capace di tener conto delle posizioni tanto del sì quanto del no e propaganda. Ma non dovrebbe essere impossibile giungere a un testo accettabile da tutti, in grado di dare un’informazione corretta e il più possibile neutra delle ragioni in gioco. E comunque, perché non provarci? Non era forse possibile in questa occasione, con un quesito costituzionale che comprende una gamma vastissima di argomenti (al punto che se, invece di essere costituzionale, fosse stato un referendum abrogativo, la Corte Costituzionale avrebbe dovuto giudicare inammissibile il quesito per la sua eterogeneità); ma nel caso dei referendum abrogativi si potrebbe almeno provarci.

E già che stiamo parlando di questioni comunicative riguardo ai referendum, avrei da porre una seconda questione, anche se di peso molto minore. Perché il quesito è alla seconda persona plurale? «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche alla parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005?». Visto che la scheda viene votata dal singolo elettore, non sarebbe più giusto, ma anche più coinvolgente e responsabilizzante, porre il quesito con il Lei, la terza persona di cortesia? In questo, l’esperienza della Confederazione elvetica non ci soccorre, perché utilizza anch’essa il voi (ma qui ci può essere anche l’effetto delle altre due lingue principali, francese e tedesco, nelle quali la forma di cortesia è al plurale); però, se vediamo i quesiti di certi referendum comunali, ci accorgiamo che il Lei è possibile: basta leggere, ad esempio, come era impostata la scheda del Referendum consultivo del 16 novembre 2003 al Comune di Venezia: «È Lei favorevole alla suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre, come da progetto di legge d'iniziativa popolare n. 106?»

Michele Cortelazzo
professore ordinario di Linguistica Italiana
Corso di laurea in scienze della comunicazione
Università di Padova

«Il Mattino di Padova», lunedì 26 giugno 2006, p. 13