Una curiosa analisi linguistica dei discorsi di Capodanno dal Colle
Il «tricolore» di Ciampi


Il più loquace? Scalfaro; il più arcaico? Einaudi; il più politico? Saragat. E il più patriottico? Non c'è sorpresa, qui: attraversato dai raggi x dell'analisi linguistica, Carlo Azeglio Ciampi mostra anche nei suoi discorsi televisivi di fine anno la più alta densità e la maggior frequenza dei termini-chiave dell'amor di Patria italiano ed europeo: «patriottismo», «tricolore» e «inno» sono parole che nessun altro Presidente della Repubblica aveva mai usato nei propri indirizzi augurali. Ad avere l'idea di passare al setaccio (anzi al computer) il testo dei discorsi presidenziali di fine anno sono stati la sociologa Arjuna Tuzzi e il linguista Michele Cortelazzo, che in un convegno a Padova hanno presentato martedì scorso i risultati della singolare ricerca.

A metà strada fra statistica e linguistica, ne emerge un panorama inconsueto della storia repubblicana, dal primo breve discorso radiofonico pronunciato nel 1949 da Luigi Einaudi a quelli - in media sempre più lunghi - dei suoi successori. Discorsi per nulla rigidi e stereotipati, visto che ogni Presidente sa dare ai propri un'individualità ben riconoscibile, che li rende un genere tutt'altro che statico e meramente cerimoniale. Ogni inquilino del Quirinale, insomma, ne fa un riflesso della propria personalità: così, il socialdemocratico Saragat intesse i suoi discorsi con parole ed espressioni che risentono delle sue radici politico-culturali, da «posti di lavoro» a «settori produttivi», da «lavoratori» a «contadini e operai». Tratti ignoti ai suoi predecessori, che puntualmente torneranno nei messaggi dell'altro socialista, Sandro Pertini. Il quale si mostra il più attento alla drammatica attualità di un'Italia percorsa da «attentati», «ordigni», e minacciata dal «terrorismo», termine che il Presidente savonese evoca con particolare frequenza. Dopo gli altalenanti anni di Cossiga - che giunse, nel 1991, a pronunciare un discorso di poche righe - Scalfaro ritorna all'ordine costellando i suoi lunghi interventi "dal caminetto" con richiami a istituzioni e circostanze politiche - «magistrato», «ministro», «ministero», «crisi di governo»: termini esclusivi (a sorpresa) del Presidente emerito. Fino a Ciampi: meno loquace del predecessore, concentrato sui temi dell'Europa e di un'Italia un po' volta al passato risorgimentale, un po' a un futuro continentale, tutto da costruire. Se il Presidente livornese è il primo a pronunciare davanti alle telecamere la sera di San Silvestro il sintagma «mia moglie», con una miscela tra solennità e familiarità affettuosa («care italiane», «cari italiani», «mia generazione», «nostra storia») i suoi discorsi duemilleschi appaiono lontani e vicini insieme a quelli di un altro grande gentiluomo, Luigi Einaudi, che negli anni Cinquanta parlava ancora di «borghi» e «casolari», di «focolari» cui dovevano giungere i «lieti auspici» di un «anno fecondo». Altri tempi, senza dubbio. Altri presidenti. In attesa del primo 31 dicembre del suo settennato, gli appassionati di lingua possono intanto già lavorare sulle parole del Presidente Napolitano: troppo presto per esercitarsi sui suoi discorsi presidenziali, ma non - caso raro - sui suoi versi. In dialetto partenopeo.

Lorenzo Tomasin

«Il Sole-24 Ore», domenica 14 maggio 2006, p. 33