REGOLE E PAROLE / Linguisti concordi nell'escludere il plurale. Prime «distorsioni»: tra la gente comune c' è chi ha trasformato la nuova moneta in «eur»
Gli studiosi bocciano gli «euri», per dire centesimi va bene «cent»

ROMA - Ormai la vera scommessa linguistica sarà sui centesimi, ovvero sugli eurocent, come si legge sulle monete. Prevede il linguista Michele Cortelazzo, ordinario di Storia della lingua italiana a Padova e direttore della rivista «Annali del lessico italiano contemporaneo»: «La partita è apertissima, con la lingua non si sa mai come va a finire. Bisognerà vedere se i "parlanti" si orienteranno sul vecchio "centesimi", se adotteranno "eurocent" o la forma breve del "cent". Potrebbe ripetersi ciò che in Veneto probabilmen te accadde per "schei", forma breve della moneta austro-ungarica "Scheidemunze". Il suffisso iniziale, appunto "schei", era scritto a grandi lettere. E quello restò in uso nell'area veneta. Così forse accadrà coi cent. O invece si tornerà all'intero "centesimi", chissà». l'appuntamento con i "parlanti" è all'apparizione del primo modo di dire, della prima frase fatta (tipo: non ho più una lira). Solo allora, certifica Cortelazzo, si potrà dire quale formula avrà messo radici nella lingua. Una cosa è certa, dice l'esperto: si pronuncerà cent con la «c» dura italiana: niente letture anglosassoni, niente americanismi. Siamo in Europa e in Italia.

Il dilemma «plurale sì, plurale no» per la parola euro sembra invece in via di definitiva archiviazione, con buona pace del redattore del Tg5 Roberto Pavone che, per essere inciampato una sola volta in un "euri" nell'edizione serale, è stato condannato a mille perfide ripetizioni del filmato durante «Striscia la notizia». C' è chi, nell'incertezza, ha adottato una fantasiosa terza via. Il negozio di moda di Luisa Spagnoli nella centralissima via Frattina a Roma ha coniato l'eur, inesistente unità monetaria che forse potrebbe circolare nell'omonimo quartiere a sud della città. Comunque è deciso: niente plurale. Francesco Sabatini, linguista e presidente dell'Accademia della Crusca, lo ha già spiegato molto bene: «Euro funzionerà come video e audio, nomi maschili invariabili». A questi Cortelazzo aggiunge anche l'esempio di bingo, mango, mambo e delle abbreviazioni femminili auto e moto («a nessuno verrebbe in mente di dire "auti" o "aute"). Conclude Sabatini: «Dovremo abituarci a sentire euro come una parola dotata di una sua particolare fisionomia, portatrice di una semantica che quasi la isola nel contesto morfo-sintattico. Perché usare l'euro sarà un atto del tutto nuovo, una parola che non è di nessuna lingua in particolare ma di tutte».

L'abolizione del plurale piace molto a Domenico De Masi, sociologo, autore del recente saggio «Le parole nel tempo» (edito da Guerini). Il gioco coi vocaboli è una sua antica passione: vent'anni fa coniò la sigla Enea per indicare l'ente nazionale energie alternative: «Mi ricordo che Umberto Colombo e i suoi collaboratori partivano dalle parole per arrivare alla sigla, io suggerii la via opposta e pensai a un eroe romano come Enea. Solo dopo attribuimmo alla sigla un senso. L'euro è già perfetto così com' è, sembra inventato da un pubblicitario, quelle tre vocali rendono il suono dolcissimo anche se l'"u" centrale assegna una nota di serietà. C' è gente che impiega mesi per inventare un nuovo slogan invece euro è formidabile in partenza».

Intanto su Roma (già ne ha scritto Franco Cordelli) è sospeso un dubbio: cosa accadrà per "piotta" (cento lire), "sacco" (mille), "scudo" (diecimila), "testone" (un milione) tutti termini presentissimi in tanti film della commedia all'italiana? Nemmeno il regista Luigi Magni, romanista eccellente al cinema come al teatro, si è dato una risposta e se la cava con una battuta: «La verità è che il nostro è un dialetto da poveri, abbiamo a che fare poco col denaro, figuriamoci adesso con l'euro. In quanto a me adotterò l'unità di misura degli 88 centesimi che vanno bene sia per acquistare un quotidiano che il mio pacchetto di sigarette. E tanto mi basta».

E la lira? La lira (parola di poetessa) sarà dura a morire nell'immaginario collettivo. Anzi, è destinata a sopravvivere a lungo. Racconta ridendo Alda Merini che ammette di «patire molto per la scomparsa della vecchia moneta»: «Stanotte ho sognato l'editore Vanni Scheiwiller, mio caro amico scomparso. Vanni mi sussurrava tristissimo: "Sai, Alda, non ho più una lira, non ho più una lira". Se anche i morti ti appaiono in sogno dall'altro mondo per piangere miseria parlando di lire, ecco, allora vuol proprio dire che quella moneta è destinata a restare al suo posto a lungo. A lunghissimo...»

Paolo Conti

«Corriere della sera», giovedì 3 gennaio 2002, p. 5