Cronache linguistiche
Per difendere l’italiano in forza della pluralità


Non so quale atteggiamento avrà il nuovo ministro italiano dell’Istruzione, Marco Bussetti, nei confronti della tutela della lingua italiana nelle scuole, nelle università e nell’amministrazione scolastica. Chi l’ha preceduto, Valeria Fedeli, ha sempre difeso le incursioni dell’inglese nel sistema scolastico, mostrando una scarsa attitudine a esercitare il dubbio.

Negli ultimi mesi ci sono stati due momenti di scontro piuttosto netto tra la ministra e l’Accademia della Crusca. Il primo è stato intorno a capodanno, quando il bando per il finanziamento di progetti di ricerca di interesse nazionale ha imposto l’uso esclusivo dell’inglese per la presentazione delle domande. Il Presidente della Crusca, Claudio Marazzini ha subito criticato questa decisione. La risposta della ministra (o del suo ghost writer), piuttosto stizzita, è stata di tetragona difesa della decisione, senza lasciare alcun spazio a ripensamenti: l’inglese è la lingua della comunicazione scientifica internazionale ed è quindi necessario utilizzare l’inglese per permettere anche a ricercatori stranieri di valutare i progetti. Ma, come ha documentato Marazzini, questa affermazione è falsa, se la riferiamo indistintamente a tutte le discipline.

Il secondo momento di scontro si è consumato in aprile quando il gruppo italo-svizzero «Incipit», che monitora i forestierismi che stanno entrando nell’italiano, ha emesso un comunicato sulla sovrabbondante presenza di parole inglesi in un documento ministeriale sull’educazione all’imprenditorialità. Anche in questo caso la stizza dell’allora ministra non si è fatta attendere, e al gruppo, che si appoggia alla Crusca, è stata inviata una strenua difesa delle scelte linguistiche del documento, anch’esse ritenute una necessità, data la settorialità del tema del documento. Valeria Fedeli pare proprio non sapere che il ricorso ai forestierismi non è l’unica possibilità per denominare con precisione nuovi concetti in ambiti specialistici?

A proposito dei corsi di laurea interamente in inglese, l’interventismo ministeriale è stato, invece, più contenuto. Per quanto già nel 2017 la Corte costituzionale avesse indicato alcuni vincoli affinché si possa considerare conforme alla Costituzione l’apertura di corsi di laurea in inglese, la ministra ha atteso la sentenza del Consiglio di Stato contro il Politecnico di Milano, per annunciare un incontro con i Rettori. Ma ormai le elezioni erano imminenti, e non credo che l’incontro ci sia stato. Il problema passa nelle mani di Marco Bussetti.

L’attuale ministro ha lavorato fino a pochi giorni fa a Milano. Chissà se ha mai avuto modo di accorgersi che nella vicina Lugano l’Università della Svizzera italiana ha un programma che si chiama «più italiano» e che viene così definito: «la valorizzazione della lingua italiana in Svizzera è un impegno fondamentale a tutela dell'identità stessa del nostro paese, una Willensnation unita nella pluralità e in forza della pluralità. È con questa convinzione che l'USI porta avanti su più fronti il suo contributo a favore dell'italiano». O se gli è capitato di leggere documenti dell’amministrazione scolastica o universitaria ticinese: quelli che ho letto io, anche pochi giorni fa, fanno un uso veramente parco di forestierismi, a differenza di quelli italiani. A Bussetti consiglierei di far suo, con una piccola modifica, uno degli slogan della parte politica che l’ha portato al Ministero e di lanciare nelle scuole la campagna «prima l’italiano».

«Corriere del Ticino», lunedì 18 giugno 2018, p. 25