Cronache linguistiche
«Default» e «spread»: le parole dell'anno per esorcizzare la crisi


"Scenari", trasmissione di RaiNews curata da Roberto Reale, ha dedicato la puntata del 24 dicembre 2011 alle parole dell'anno: spread, Fukushima, neutrino, indignati. Si tratta di una buona introduzione per chi voglia occuparsi delle parole che hanno arricchito il lessico italiano. A dire il vero, le parole citate non sono neologismi, spesso neppure dal punto di vista semantico. "Neutrino", ad esempio, è una parola esistente in italiano almeno dal 1933, quando la usò Enrico Fermi; può, però, essere considerata una parola-chiave del 2011, visto che nel corso dell'anno è stato realizzato l'esperimento che ha dimostrato come i neutrini possano viaggiare a una velocità superiore a quella della luce.

Neanche le altre citate sono parole del tutto nuove; d'altronde, anch'io faccio fatica a ricordarmi neologismi in senso stretto che si possano considerare caratteristici del 2011. Sono, però, parole che nell'anno appena terminato hanno subito variazioni di significato, di ambiti d'uso, di frequenza. Pensate a "indignati", nome che, come riproposizione dello spagnolo "indignados", indica i partecipanti al movimento nato in primavera nelle strade spagnole (mentre in altre strade e piazze scoppiava la "primavera araba"), per combattere lo strapotere della finanza e della politica; estesosi, poi, a gran parte del mondo ha assunto anche un nome derivato dalla variante americana, "Occupy Wall Street" (da cui sono germinate migliaia e migliaia di altre "Occupy", tra le quali "Occupy Italy").

Ma la parola che appare in quasi tutte le inchieste e i sondaggi come la "parola dell'anno" è "spread", che significa 'differenza tra valori percentuali' ed è da noi usato, ormai per antonomasia, per indicare il differenziale tra il rendimento dei Bund tedeschi e quello dei Buoni del tesoro italiani. Ma nemmeno "spread" è una parola entrata nei testi italiani solo nel 2011 (anche se, tanto per avere un dato di riferimento, gli articoli di "Repubblica" che contengono questa parola sono passati dai 145 del 2010 agli 832 del 2011): "Repubblica" lo usa, con una certa continuità, già dal 1984, allora a proposito del rapporto tra i rendimenti di diversi titoli di stato italiani, i CCT e i BOT. E nel 1996 troviamo un articolo che, a parte il riferimento alla lira, sembrerebbe scritto a metà del 2011: "Va ancora segnalato che, come segno della sfiducia nella lira, ieri lo 'spread' tra i rendimenti del btp e del 'bund' tedesco hanno superato per la prima volta dopo molto tempo i 300 punti base".

Il rilievo che "spread" ha assunto negli ultimi mesi ha oscurato la fama di un altro forestierismo, che aveva un ruolo predominante nei mesi precedenti: "default". Negli scorsi anni "default" era usato in informatica, per indicare le impostazioni che un sistema adotta in assenza di istruzioni specifiche da parte dell'utente o del programma. Oggi troviamo "default" nel senso di "fallimento di uno Stato", come già in un articolo del "Corriere della sera" dello scorso gennaio: "L'Illinois, lo Stato di Obama, è sull'orlo del fallimento (...) però, gli Stati, nel sistema americano, non possono dichiarare «default»". La parola si è poi diffusa a macchia d'olio dopo che Obama, in luglio, ha pubblicamente evocato il rischio di "default" per gli Stati Uniti.

Non ci stupisce che le parole chiave del 2011 siano parole che hanno a che fare con l'economia e la crisi. Viene però da chiedersi perché siano tutti forestierismi, per i quali, peraltro, può esistere in italiano un facile corrispondente (per "default", ad esempio, abbiamo, come s'è visto, "fallimento"). C'entra certamente l'ottusa esterofilia degli ambienti economici e finanziari; c'entra la globalizzazione; ma c'entra, ancor di più, la funzione eufemistica ed esorcizzante che le parole straniere possono portare con sé. "Spread" e "default" sono oggetti misteriosi, che appaiono stranieri, a noi estranei. Ma c'è poco da esorcizzare: non saranno le parole a tenerci lontani dai drammi dell'attuale situazione economica mondiale.

«Corriere del Ticino», lunedì 23 gennaio 2012, p. 28