Cronache linguistiche
Unione europea: una questione di aggettivi


Giusto un anno fa, il 29 dicembre 2009, mi ero occupato dell'aggettivo con cui ci si può riferire all'Unione Europea. Ricordo il problema: nel dicembre dello scorso anno è entrato in vigore il trattato di Lisbona. L'Unione europea ha sostituito la Comunità europea. Di conseguenza non esistono più le istituzioni comunitarie, i marchi comunitari, i brevetti comunitari, i transiti comunitari … Non esistono più neppure gli extracomunitari! Ma da cosa sono sostituiti?

Il problema non è solo italiano. Recentemente ne ha scritto nel suo blog (http://blogs.elcorreoweb.es/miguelrodriguezpineroroyo/), riferendosi naturalmente alla prospettiva spagnola, Miguel Rodríguez-Piñero Royo, professore di diritto all’Università di Huelva: i problemi dello spagnolo sono gli stessi dell’italiano. La proposta, e quasi la previsione, che avevo fatto un anno fa era che fosse insufficiente quanto previsto dallo stesso trattato ("i termini la Comunità o la Comunità europea sono sostituiti da l'Unione, i termini delle Comunità europee o della CEE sono sostituiti da dell'Unione europea" e l'aggettivo comunitario, comunque declinato, è sostituito da dell'Unione"), che un aggettivo fosse necessario e che forse la soluzione sarebbe potuta essere la specializzazione dell’aggettivo europeo in riferimento a quella parte dell’Europa che appartiene all’Unione Europea, così come americano si è specializzato come sinonimo di statunitense.

Ma nel giro di un anno alcune cose sono cambiate, a riprova di quanto sia in movimento l’italiano di oggi. Ha cominciato ad avere una timida espansione eurounitario (si parla, ad esempio di diritto eurounitario); a sua volta ha iniziato ad apparire unionale, anche in documenti dell’Unione europea (come il Regolamento n. 807/2010 della Commissione, del 14 settembre 2010, che si occupa delle forniture di derrate alimentari provenienti dalle scorte d’intervento a favore degli indigenti nell’Unione). In questo testo si trova anche il composto intraunionale (altrove compare anche extraunionale). Ma unionale è stato usato anche nella stampa: nel Secolo XIX, già nel novembre 2009, si chiedeva l’istituzione, a livello di Unione europea, del Referendum «inserendolo nella legislazione unionale».

La soluzione giusta – faccio autocritica - può essere proprio unionale, per diversi motivi. Il principale che si tratta di un aggettivo nuovo, che può adeguatamente riferirsi, quindi, a un istituto nuovo, ma non nuovissimo (quindi non è pura invenzione, priva di una sua storia). Unionale, come aggettivo di unione, è già usato in italiano in riferimento alle unioni di comuni. Non è aggettivo diffusissimo (non si trova, per es. nel «Corriere della Sera» e in «Repubblica»), ma compare con una certa frequenza nella «Stampa» («La giunta unionale ha approvato lo studio di fattibilità»).

È correttissimo dal punto di vista della grammatica della formazione delle parole, perché è del tutto analogo ad altri aggettivi che si riferiscono a strutture istituzionali: la Svizzera conosce cantonale come aggettivo di Cantone, l’Italia regionale come aggettivo di Regione, e poi provinciale, comunale, circoscrizionale, e lo stesso nazionale. A differenza di eurounitario, che è già un composto, permette con facilità la creazione di composti, come i già visti, ed esistenti, intraunionale ed extraunionale.

Magari a qualcuno potrà apparire strano, o addirittura brutto, come capita spesso per le parole create quasi a tavolino; ma una volta che si diffondono, le parole “brutte” diventano belle, o quanto meno accettabili. E allora faccio un appello a chi scrive testi ufficiali sull’Unione europea, o a chi li traduce: usate unionale. È un aggettivo abbastanza semplice, naturale nella sua formazione, grammaticalmente corretto, ben inseribile nell’italiano corrente, come è stato per comunitario. Se lo userete sistematicamente, noi ci abitueremo. E vi ringrazierà la lingua italiana, ancora sofferente per lo sfregio di governance, che a suo tempo non si volle italianizzare nel neologismo governanza, analogo alle soluzioni affermatesi nelle altre lingue romanze.

Michele A. Cortelazzo

«Corriere del Ticino», lunedì 20 dicembre 2010, p. 29