Cronache linguistiche
Quando i candidati giudici non sanno la grammatica


Ha fatto giustamente scalpore la notizia che in Italia all'ultimo concorso per 380 magistrati sono rimasti scoperti 58 posti, ma non per mancanza di concorrenti: le domande erano 43.000, i candidati ammessi 18.000, i candidati che sono riusciti a terminare le prove scritte oltre 4.000. Ma qui sono scoppiati i problemi, a causa della scarsa preparazione dei concorrenti: e non solo sui temi giuridici, ma persino sui fondamentali della grammatica e dell'ortografia italiana. «Vi risparmio le indicibili citazioni solo per pudore, ma vi assicuro che hanno indotto seri dubbi sulle modalità di conseguimento del diploma di scuola media inferiore», ha scritto uno dei componenti della commissione esaminatrice, Matteo Frasca in un articolo apparso nel sito della corrente "Movimento per la Giustizia". I giornali, il 7 gennaio 2008, non hanno avuto lo stesso pudore, e hanno citato un «risquotere», scritto con la «q», qualche «cmq» che sta, ovviamente, per «comunque», gli «è» senza accento, gli «ha» senza l'acca, gli «un» davanti a maschile e i «qual» apostrofati. E poi altri svarioni, che sanno troppo, però, da leggenda metropolitana a sfondo goliardico: per esempio il motto latino «nulla poena sine lege» ridotto al più disinvolto «nullum pene sine lege», oppure un incomprensibile «veperata», illuminato solo dal successivo «quaestio», che si rivela come un'errata espansione di «vexata quaestio» nella quale la «x» sarebbe stata interpretata come abbreviazione di «per» (ma una volta si narrava dello studente di storia che magnificava le gesta del grande garibaldino «Biperio», che era la cattiva interpretazione di «Bixio»; e io mi divertivo a chiamare «Cràperi» il Presidente del Consiglio degli anni Ottanta).

I quotidiani, a cominciare dal «Corriere della Sera» hanno mostrato grande indignazione: M. Antonietta Calabrò chiude il suo pezzo (che, a onor del vero, cita solo il «risquotere») con la notizia che il prossimo concorso sarà riservato solo a chi già lavora nelle professioni legali, chiosando: «chissà se almeno così si eviteranno gli errori di ortografia». A sua volta Giorgio De Rienzo ci illumina sulle cause: «è la naturale conseguenza di un brutto vezzo educativo che da trent'anni ha messo in soffitta le regole elementari della scrittura, per non voler castrare una presunta libertà espressiva». A dire il vero non è che il «Corriere della Sera» abbia molto titolo ad intervenire sull'argomento: solo una quindicina di giorni prima, il 20 dicembre 2007, nella pagina dedicata ai risultati di un'indagine internazionale sulle conoscenze dei giovani, le domande poste ai ragazzi erano riportate su una lavagna, nella quale campeggiava un magnifico «qual'è stato l'ammontare totale … delle esportazioni» con un bellissimo, e sbagliatissimo, apostrofo. E poi, per periodizzare bene l'affacciarsi del fenomeno dell'incultura grammaticale e ortografica tra i giovani che ci saremmo aspettati colti, dobbiamo risalire oltre il trentennio, se già nel 1979 l'architetto Leonardo Benevolo, nel suo «La laurea dell'obbligo», citava analoghi strafalcioni nei testi di studenti di Architettura, che avevano verosimilmente iniziato le scuole nei primi anni Sessanta.

Credo, dunque, che sia sì opportuno sottolineare le carenze di base dei ventenni-trentenni, ma che sia opportuno contestualizzare il fenomeno, che ha una storia più lunga di quella proposta dai quotidiani. E c'è da chiedersi se, sul piano dell'ortografia, non stiamo assistendo a un graduale e tacito mutamento della norma (mi riferisco soprattutto agli apostrofi), così come vi stiamo assistendo a proposito della grammatica, dove, per esempio, «ella» è scomparso da tempo ed «egli» sta seguendo la stessa strada. A proposito: sapete dove questi pronomi sopravvivono e tengono ancora prigionieri «lui» e addirittura «lei»? Nei testi dei magistrati, come ha ben mostrato lo studioso svizzero, ora attivo in Germania, Giovanni Rovere. Chissà se il magistrato Matteo Frasca lo sa.

Michele A. Cortelazzo

«Corriere del Ticino», venerdì 18 gennaio 2008, p. 37