Cronache linguistiche
L'autismo, la forza della comunicazione e la pizza Margherita


Un’idea di cosa sia l’autismo l’abbiamo più o meno tutti, soprattutto dopo che nel film “Rain Man” Dustin Hoffman ha interpretato, ottenendo l’Oscar, la figura di Raymond, il protagonista afflitto da tale sindrome. Si tratta di un disturbo dello sviluppo che si manifesta da molto piccoli, con comportamenti stereotipi e con la compromissione della comunicazione e dell’interazione sociale. Comporta soprattutto un isolamento comunicativo che ha fatto sì che i bambini autistici siano stati chiamati “bambini della luna”, per la loro distanza dagli altri, o “bambini pesci”, per il loro silenzio. Invece, pochi sanno che è stata elaborata una tecnica, la comunicazione facilitata, grazie alla quale molte persone autistiche riescono a rompere la barriera che gli impedisce di comunicare con gli altri. Lentamente, con l’aiuto di un facilitatore che dialoga con lei al computer, ma che al tempo stesso mantiene un contatto fisico toccandole la spalla o un braccio, la persona autistica riesce a produrre testi, a comunicare le sue sensazioni e le sue idee, insomma a interagire verbalmente. I risultati sono stupefacenti: i testi prodotti presentano, in tutte le lingue, delle peculiarità sintattiche e una ricchezza lessicale incredibili.

Riporto solo tre brevissimi esempi, sperando di suscitare nel lettore la stessa emozione che ho provato quando per la prima volta ho letto i testi dei ragazzi autistici: “umano errare intorno al nostro millennio senza governo guardo”, “(la professoressa) non mi sa contenere navigo nell’emotivo mare”, “mio rotto gretto perduto corpo”.

Un gruppo interdisciplinare di ricercatori dell’università di Padova, guidato dallo statistico Lorenzo Bernardi, ha studiato un ampio corpus di prodotti testuali di autori autistici (il più ampio, a quel che so, analizzato in tutto il mondo). La ricerca ha permesso di individuare le regolarità della lingua usata da questi particolarissimi autori e la sua singolarità, che la differenzia profondamente dalla lingua dei facilitatori e da quella di alcuni coetanei non autistici, che hanno funto da controllo.

I risultati dell’analisi dei testi sono importanti, poiché il processo della comunicazione facilitata è molto controverso a livello scientifico (e certamente la prudenza è raccomandabile; molto meno lo è il pregiudizio negativo, solo perché la capacità di comunicare mostrata in questo modo dagli autistici contraddice le certezze maturate in precedenza dalla ricerca scientifica). In discussione è la veridicità della trasmissione dell’informazione da parte degli autistici, con il sospetto che questa venga indotta dai facilitatori; lo dicono, però, gli esiti di test standard che non tengono conto, in un circolo vizioso, della peculiarità dei soggetti testati (sarebbe come misurare l’intelligenza di un gruppo di persone cieche chiedendo loro di classificare degli oggetti rappresentati in fotografia). L’analisi del gruppo di ricerca padovano, basata sulla rigorosa analisi quantitativa e qualitativa dei prodotti di scrittura, porta invece a riconoscere agli scriventi autistici la paternità di questi scritti.

C’è certamente ancora molto da studiare a proposito di questo tipo particolare di comunicazione. Ma fin d’ora si può immaginare la gioia dei genitori che grazie alla comunicazione facilitata riescono per la prima volta a sapere che cosa passa per la testa dei loro figli: a cominciare da quella madre che, quando portava il figlio autistico in pizzeria e gli chiedeva di indicare quale pizza volesse, si vedeva additata la margherita. La pizza richiesta arrivava in tavola e invariabilmente il figlio la lanciava irato contro la parete. Ora che il ragazzo riesce a scrivere, è stato facile venire a capo dell’apparente assurdità della situazione; la tecnica della comunicazione facilitata gli ha permesso di scrivere la spiegazione davvero semplice: “io ODIO la pizza margherita!”. Basta ordinare qualsiasi altra pizza e la famiglia può ora passare momenti tranquilli in pizzeria.

Michele A. Cortelazzo

«Corriere del Ticino», martedì 24 aprile 2007, p. 30