Cronache linguistiche
Come resiste l'italiano nei confronti dell'anglicizzazione?


Il "Plurilingua" del 2 dicembre era appena stato pubblicato, che subito mi sono imbattuto in altre prese di posizione sulla passività della nostra lingua di fronte all'anglicizzazione, fenomeno che, peraltro, accomuna un po' tutte le lingue del mondo. Per esempio, nell'"Espresso" datato 21 dicembre, la rubrica settimanale di Giorgio Bocca, sotto il titolo ironicamente allusivo "Come sono sexy queste news", tratta del calo di vendite dei quotidiani e ne individua la prima causa nel linguaggio: "per leggere un articolo - sostiene Bocca - bisogna faticare: tradurre le parole straniere" (e poi quelle gergali, le sigle, le parole circoscritte a singoli gruppi sociali): "quasi una lingua inventata".

Più ricco e articolato il parere di Pier Vincenzo Mengaldo, il grande studioso di lingua e letteratura italiana che ha scritto per un certo periodo anche su questo giornale. Raggiunto il traguardo dei settant'anni, si è sottoposto a una lunga intervista condotta da Stefano Brugnolo e confluita in un libro piuttosto clandestino (non per nulla apparso nella collana padovana dei "Nuovi samizdat"), con il titolo "Passato e presente. Conversazione con Pier Vincenzo Mengaldo". Nelle sue risposte, sempre nette e personali, c'è spazio anche per la presunta decadenza dell'italiano. Mengaldo ricorda alcune cose ben precise: che è vero che noi italiani non parliamo la nostra lingua con lo stesso grado di certezza linguistica con cui i francesi parlano il francese e i tedeschi il tedesco, ma è altrettanto vero che l'italiano è sempre una lingua viva e ricca; l'uso a volte pigro che se ne fa può essere il prezzo (non troppo alto, aggiungerei) che si paga al fatto che dopo tanti secoli l'italiano è riuscito a diventare la lingua della maggioranza: "se una lingua da lingua d'èlite diventa lingua di massa, non potrà portare lo smoking". E poi, se è vero che per un uso più consapevole della lingua è decisivo il ruolo della scuola, compreso l'insegnamento della grammatica, è anche auspicabile che "tutti noi che scriviamo fossimo attivamente persuasi che l'italiano è una lingua da cui si può ricavare uno stile"; uno stile, reputa Mengaldo, che potrebbe giovarsi dell'azione benefica della lingua scientifica, serbatoio di precisione lessicale oltre che di chiarezza sintattica.

Però qui torniamo al tema di partenza, quello dell'anglicizzazione, dal momento che da decenni gli scienziati hanno, comprensibilmente, rinunciato all'italiano come lingua attraverso la quale veicolare le loro scoperte; ma hanno anche spesso infarcito di inutili anglicismi i loro rapporti e i loro progetti in italiano, venendo coinvolti nell'eccessiva cedevolezza della nostra lingua di fronte alla pressione dell'anglo-americano. Una cedevolezza per la quale Mengaldo rinvia a un recente saggio di Sergio Bozzola, il quale, confrontando alcune scelte della nostra lingua con le corrispondenti scelte di altre lingue europee, russo compreso, documenta come l'italiano sia sempre la lingua che si comporta, nei confronti degli anglismi, nel modo più passivo. Il dato, a dire il vero, non è così pacifico, se qualche anno fa Harro Stammerjohann ha calcolato che gli anglismi presenti in un dizionario medio dell'italiano sono 2000, contro i 3000 del francese e i 7000 del tedesco; e che in alcune pagine comparabili di tre giornali dello stesso giorno, il "Corriere della Sera" con 25 anglismi diversi sta a metà strada tra "Le Monde" che ne ha 17 e la "Frankfurter Allgemeine Zeitung" che ne ha 32.

Comunque stiano le cose, l'italiano va certamente protetto e difeso, ma senza aderire alle fosche profezie secondo le quali tra breve non sarà altro che un dialetto di una lingua 'superiore', l'inglese. "È ragionevole ritenere che le cose non andranno così", commenta lapidario Mengaldo. E io concordo con lui. Alla faccia di chi, come la rivista on line "Permalink", introduce gli articoli sulla "neolingua" presente nei blog con il titolo apocalittico "perché l’italiano morirà".

Michele A. Cortelazzo

«Corriere del Ticino», sabato 2 gennaio 2007, p. 23