Cronache linguistiche
Clienti o passeggeri?


Ho già notato la scarsa attenzione che Ministero delle Finanze e Ferrovie dello Stato mostravano per l'efficacia della comunicazione scritta e per la sua comprensibilità da parte dei cittadini ai quali le due istituzioni si rivolgono. Nel 1995 si è potuto riconoscere, con soddisfazione, che il Ministero delle Finanze, riscrivendo le istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi (il modello 740), si era posto il problema della qualità della scrittura dei testi burocratici e aveva cercato di venire incontro alle abitudini linguistiche dei lettori, che sono, almeno potenzialmente, tutti i cittadini italiani.

Purtroppo non posso riconoscere lo stesso sforzo all'Ente Ferrovie dello Stato. Riporto integralmente un comunicato affisso nelle stazioni del Compartimento di Venezia:

«La clientela in partenza da stazione impresenziata o disabilitata, dal 1° marzo 1995, per non essere assoggettata al pagamento delle soprattasse previste dagli artt. 9 e 10 delle Condizioni e Tariffe Viaggiatori (£ 10.000 o £ 10.000 + 30.000), dovrà:
* preavvisare il personale di controlleria, al momento di salire in treno, nelle località in cui sia possibile acquistare il biglietto di viaggio;
* munirsi tassativamente di un biglietto nella stazione dotata di biglietteria automatica o servita da esercizi pubblici abilitati alla vendita dei biglietti ferroviari, anche se ubicati in ambito urbano. Tale biglietto - da preacquistare in ogni caso - potrà non corrispondere per tariffa, classe e/o chilometraggio a quello necessario per effettuare il viaggio.
N.B. Solo rispettando tali condizioni, fermo restando in entrambi i casi l'obbligo di preavvisare il personale di controlleria, l'emissione dei biglietti in treno sarà effettuata senza maggiorazione di prezzo».

A firmare questo splendido esempio di prosa brutta, inefficace, scarsamente comprensibile sono le Ferrovie dello Stato, Direzione Regionale Trasporto Locale Veneto; ma non è che i comunicati di altre regioni (ho visto quello di Trieste) siano radicalmente diversi, anche se non raggiungono queste vette di infelicità linguistica.

Ormai i lettori di "Plurilingua" sanno individuare i punti deboli di questo comunicato, cominciando da quelli relativi al piano lessicale: la «clientela» è tenuta a sapere cosa sia una stazione «impresenziata o disabilitata»? Oppure cosa sono gli «esercizi pubblici abilitati alla vendita dei biglietti ferroviari, anche se ubicati in ambito urbano» (perché, di solito si trovano in piena campagna?). Oppure ancora perché si usano degli astratti collettivi, come clientela o (personale di) controlleria, invece dei più usuali e concreti clienti e controllori? Ma anche l'organizzazione dell'informazione è mal strutturata, con punti poco chiari o inutilmente ridondanti: dire che il biglietto che si trova nei distribuitori automatici o negli esercizi pubblici è «da preacquistare in ogni caso» è qualcosa di diverso dal dire che bisogna «munirsi tassativamente di biglietto»? Oppure, in che senso il biglietto può anche non corrispondere (da vari punti di vista) a quello necessario per effettuare il viaggio?

E' lo stesso tipo di rilievi che avevo fatto ad altri comunicati ferroviari, ancora nel 1992. Come dire, il lupo perde il pelo (forse), ma non il vizio. E vedo, con piacere, che non sono l'unico a osservare che l'Ente Ferrovie dello Stato non ha ancora imparato la cultura della comunicazione. Piero Ottone, nel «Venerdì di Repubblica» del 19 maggio 1995 ha notato come i viaggiatori vengano tenuti all'oscuro delle cause di soste prolungate, e apparentemente immotivate, in aperta campagna, anche in quei treni, come gli Intercity, dotati di altoparlanti. Insomma, pare proprio che le Ferrovie non sappiano comunicare né in forma scritta né in forma orale. Chissà quanto bisognerà aspettare perché l'Ente Ferrovie dello Stato organizzi dei corsi di lingua italiana e di comunicazione per i suoi funzionari. Ma forse l'Ente ha già organizzato, anni fa, un corso del genere, che però si è fermato alla prima lezione, quella nella quale si è imposto a tutti di chiamare clienti quanti si servono dei treni per viaggiare. Ma, si noti, Piero Ottone, che l'italiano lo conosce, nel suo articolo li chiama semplicemente passeggeri. Chissà, forse secondo i dirigenti delle Ferrovie dello Stato sarebbe lui che dovrebbe seguire un corso di comunicazione!

Michele A. Cortelazzo

«Corriere del Ticino», sabato 20 maggio 1995