Riforme e questione morale
Napolitano chiama al confronto
Stasera il messaggio in tv: no alle delegittimazioni reciproche


ROMA - Lunedì hanno fatto le prove della scenografia, scegliendo in quale angolo dello studio presidenziale allestire il set, dove sistemare luci e bandiere, che oggetti e libri appoggiare sullo scrittoio, se introdurre novità e di che tipo. Ieri hanno preso le misure del discorso, con un calcolo dei tempi che deve tenere conto del ritmo galoppante con cui «l' attore» di solito si esprime (nel 2006 infilò in appena 18 minuti 2.218 parole). E oggi pomeriggio il regista pronuncerà il «ciak, si gira», con una registrazione tecnica che precederà la messa in onda a reti unificate, alle 20, così da consentire alle emittenti regionali di preparare i sottotitoli per le minoranze tedesche, ladine e slovene e, nel caso di Rai Due, per la traduzione nel linguaggio dei non udenti.

Sono le ultime, convulse ore di lavoro, al Quirinale, per il messaggio di Capodanno. Un appuntamento che la Costituzione non prevede, ma che è divenuto consuetudine dalla notte di San Silvestro del 1949, quando Luigi Einaudi inviò via radio i suoi primi auguri agli italiani. Un denso saluto poi ripetuto e fatto lievitare in importanza dai successivi inquilini del Palazzo, che poco per volta hanno affinato le tecniche di comunicazione sino a tramutarlo in un calcolatissimo e seguitissimo evento mediatico. Ovvio dunque per Giorgio Napolitano - la cui natura perfezionista è nota, tanto che ci scherza sopra lui stesso - controllare ogni dettaglio di questo rito civile nel quale anche la forma può essere sostanza.

Il tema chiave sarà la crisi economica. Che per il capo dello Stato va affrontata nella consapevolezza dei rischi di «un diffuso malessere» al quale è esposto il Paese, specie nelle sue fasce «deboli» (gli operai, le famiglie a basso reddito, i lavoratori precari) e nelle aree «più svantaggiate», come il Sud.

Perciò il leit-motiv del suo intervento dovrebbe ruotare intorno alla richiesta di una maggiore «coesione sociale», come precondizione per far trovare l' Italia ancorata all' Europa e preparata nel momento della ripartenza. Un appello che dovrebbe rispecchiarsi in un ammonimento alla classe politica, scossa da una nuova e devastante questione morale, affinché metta in cantiere le «indispensabili riforme» e sappia ritrovare la responsabilità di un «confronto positivo» e senza reciproche delegittimazioni.

Questioni interne alle quali si sono appena aggiunte le notizie dell' escalation militare di Israele sulla striscia di Gaza, con centinaia di morti palestinesi. Un' emergenza di cui il presidente, reduce da una visita tra Gerusalemme e Betlemme, ha discusso nelle scorse ore al telefono con Shimon Peres, Abu Mazen e diversi leader arabi e che non mancherà di avere echi nel testo scritto di pugno da questo capo dello Stato. Già, perché i suoi discorsi non nascono dal lavoro di un ghostwriter e infatti basterebbe trascrivere le sue risposte a braccio (dallo stile poco emotivo e magari disadorno, ma fluido e asciutto anche se lo si interroga su argomenti spinosi) per verificarlo. Un eloquio che l' équipe di semiologi, sociologi, statistici, politologi e storici dell' Università di Padova, coordinati dal linguista Michele Cortelazzo, ha analizzato nello studio «Messaggi dal Colle», edito da Marsilio, inserendo appunto i primi saluti di Napolitano tra quelli dei suoi predecessori. E scoprendo, guardacaso, che i suoi concetti esclusivi e sui quali più insiste sono «coesione sociale e civile».

Marzio Breda

«Corriere della Sera», mercoledì 31 dicembre 2008, p. 8