Firmato a Padova un accordo tra linguisti, funzionari e traduttori per evitare l’invasione dei forestierismi e del burocratese
Una rete per salvare l'italiano
Siamo la quarta lingua nei blog mondiali, ma in Europa perdiamo rilievo

Padova

NOSTRO INVIATO

"Sos per l'italiano": l'ultimo allarme lo ha lanciato nei giorni scorsi Magdi Allam, neo-vestale dell'identità nazionale, secondo cui il proliferare di traduzioni ad uso degli immigrati comporterebbe il suicidio del nostro idioma. Intanto la battaglia infuria sul fronte dell'Unione Europea, dove da qualche anno e nonostante le vibrate proteste dei nostri rappresentanti la nostra lingua assieme allo spagnolo non è più fra le cinque utilizzate regolarmente nelle procedure comunitarie, che la vedevano in pole position assieme a inglese, francese e tedesco. E questo nonostante il sito di ricerca di blog Technorati ci collochi al quarto posto al mondo fra le lingue più usate nella "blogosfera" (dietro al giapponese, all'inglese e al cinese), e nonostante sia da tempo in crescita la richiesta di corsi di italiano anche all'estero, da parte magari dei melomani (in particolare cinesi) che vogliono impararlo per meglio apprezzare la lirica e la cultura italiane.

Per difendere e rilanciare l'italiano ieri nell'auditorium del Collegio Don Mazza di Padova, dopo un giorno di confronto fra un centinaio di addetti ai lavori (appartenenti fra l'altro alle istituzioni comunitarie, al Ministero dell'Interno, all'Accademia della Crusca,all'Unione Latina e alla Scuola interpreti e traduttori di Trieste), è stato firmato un"Accordo di cooperazione professionale" promosso dalla Rei (Rete di eccellenza dell'italiano istituzionale) e rivolto a funzionari di ministeri, istituzioni centrali, regioni, enti locali, a docenti universitari e a traduttori ed interpreti. Si tratta del coronamento di un percorso iniziato a Bruxelles nel 2005, nell'ambito della Direzione della traduzione della Commissione europea, e poseguito col lavoro di un gruppo di esperti, con la costituzione di un Comitato di coordinamento a Roma nel 2006, e con l'avvio di cinque gruppi di lavoro a Bruxelles nel gennaio scorso.

L'iniziativa ha la finalità, come si legge nell'accordo, «di facilitare la comunicazione istituzionale in un italiano chiaro, comprensibile, accessibile a tutti e qualitativamente adeguato». A questo fine verranno attivati vari strumenti, a partire da una rete di collegamenti (forum, sito internet - http://reterei.eu - incontri periodici), per diffondere e riversare in particolare nelle istituzioni che hanno il compito di elaborare leggi e regolamenti e di comunicarli ai cittadini, le acquisizioni dei diversi gruppi di lavoro. A questo proposito il settore comunicazione del Governo sta attivando una collaborazione con la Rei, in cui sono coinvolte alcune ricercatrici padovane, mentre sulla scia italiana si stanno mettendo gli slovacchi e altri paesi membri della Ue.

In Italia tendiamo a percorrere però delle scorciatoie, scivolando nel burocratese o inglobando acriticamente nella nostra lingua i termini stranieri. «È il caso di "governance" - lamenta ancora Cortelazzo - "sdoganata" così come stava dagli stessi vertici italiani della Commissione Europea, mentre poteva benissimo essere tradotta in "governanza" come hanno fatto tutti gli altri paesi di lingua romanza».

Quanto ad inserimenti dall'inglese, in Europa siamo secondi solo ai tedeschi, la cui lingua ha però ben altre consonanze con quella britannica. «Da questo punto di vista possiamo dire - commenta il docente padovano - che i peggiori nemici dell'italiano sono gli italiani stessi, che magari infarciscono i loro discorsi di termini inglesi e una volta a Londra non sanno spiaccicare parola». Il problema insomma non è il multilinguismo degli immigrati, secondo gli studiosi, ma sono gli ibridismi, che fanno magari usare "trend" o "flop", quando ci sarebbero le adeguatissime "tendenza" e "fiasco".

L'altro avversario però si cela tra gli uffici e le aule di Bruxelles, dove ormai si parlano 23 lingue (per 27 paesi membri della Ue), fra le quali devono districarsi ben 3500 traduttori, fra i quali 150 italiani. Come spiega Gino Vesentini, un ex ingegnere nucleare che guida i 77 traduttori italiani della Commissione europea (oltre che, pro tempore, i colleghi slovacchi), «l'aumento di lavoro dopo l'allargamento e i tagli di bilancio degli ultimi anni, hanno portato ad un calo anche dei servizi di traduzione, e quindi ad una parziale riduzione del ricorso all'italiano come lingua di lavoro rispetto all'inglese, al francese a al tedesco: ma la nostra rimane tuttora una delle lingue più utilizzate». Vesentini aggiunge di non vedere minacce, anche se ha un consiglio da dare ai giovani che volessero intraprendere la sua professione: «Non limitatevi alla competenza linguistica: vista la limitatezza delle risorse ci sarà sempre più bisogno di traduttori anche con competenze tecnico-sceintifiche».

Sergio Frigo

«Il Gazzettino», martedì 30 ottobre 2007, p. 17