LINGUA IN PERICOLO
«No al suicidio dell'italiano»
Esperti e traduttori a Padova
fondano una «rete di eccellenza»


Qualche giorno fa, Magdi Allam ha parlato, dalle colonne del Corriere della Sera, del «suicidio dell'italiano»: cioè dell'atteggiamento pericolosamente autolesionistico che la società, la cultura e la cultura manifestano nei confronti della nostra lingua. Affosandola, anziché promuoverala, a livello internazionale (e in particolare in seno alle istituzioni dell'Unione europea, nelle quali l'italiano appare spesso una lingua-cenerentola), e deprimendola persino all'interno, nei rapporti con gl'immigrati, ai quali non di rado si va incontro parlando la loro lingua e non sempre si propone persuasivamente di imparare la nostra. Così, mentre autobus e stazioni ferroviarie si affollano di cartelli pubblicitari scritti in lingue straniere (al caso della pubblicità Kinder di cui ha parlato Allam si potrebbero aggiungere quelli di varie altre ditte e prodotti pubblicitari che catturano il loro pubblico con scritte in arabo, in francese o in romeno), c'è anche chi l'italiano mira a tutelarlo e a promuoverlo. A partire dalle istituzioni. Giusto a Padova, un funzionario della Direzione Generale per la Traduzione di Bruxelles, Daniela Murillo (padovana di nascita) e un professore universitario di linguistica italiana, Michele Cortelazzo, hanno fondato una Rete di eccellenza dell'italiano istituzionale (REI) che, chiamando a raccolta i professionisti della traduzione legislativa, sensibilizzi e e duchi all'uso dell'italiano nelle comunicazioni pubbliche. «Siamo rimasti stupiti – dichiara Cortelazzo – dall'ampia adesione al nostro appello. La risposta è stata immediata da parte di traduttori – sia delle istituzioni europee, sia dei ministeri, sia della Bce – e di studiosi, in particolare di quelli che si occupano dei problemi di terminologia, oltre naturalmente a istituti culturali come l'Accademia della Crusca, che ha subito dato la sua adesione al progetto».

Riunitisi ieri pomeriggio a Padova nell'Auditorium del Collegio universitario «Don Mazza», traduttori, funzionari e ricercatori hanno siglato un Accordo di cooperazione professionale che contiene le linee-guida per quello che potrebbe essere il riscatto dell'italiano istituzionale. Il contrario, insomma, del suicidio paventato da Allam. Produrre testi chiari, eleganti, qualitativamente adeguati diventa così il primo passo verso la risalita dalla china sulla quale l'italiano sta altrimenti periclitando. I «reisti» (così amano chiamarsi, traendo il nome dalla sigla) saranno dunque singoli professionisti che collaboreranno a titolo individuale, appartenenti a istituzioni o enti pubblici, italiani e comunitari, e infine gli enti stessi, che potranno patrocinare le iniziative della Rete o accoglierne le proposte e i protocolli.

Tutti insieme, formeranno un circuito professionale impegnato nella difesa e nella tutela dell'italiano sul fronte della pubblica amminsitrazione e della burocrazia.Con un sito internet destinato ad accogliere risorse terminologiche o materiali documentari, un forum permanente e una fitta agenda di incontri e di appuntamenti pubblici. Una tipica iniziativa «eurocratica» o un impegno concretamente visibile anche dal cittadino comune? «Il cittadino dovrebbe vedere i risultati del nostro lavoro nella maggiore funzionalità della terminologia usata dalle pubbliche amministrazioni per rivolgersi all'utenza - spiega Cortelazzo -, e in particolare nella neologia, cioè nell'adozione di parole nuove. Quasi tutti i termini introdotti nel linguaggio amministrativo sono oggi di provenienza straniera, e in particolare europea. Importarli correttamente significa adattarli alla lingua che li accoglie (nel nostro caso, l’italiano), trovando adeguati corrispondenti: un po’ come è avvenuto con termini e locuzioni come sussidiarietà o quote latte”. O come non è avvenuto con una parola come governance.

“In effetti l’italiano è l’unica fra le lingue romanze (cioè neolatine, ndr) a non aver tradotto questo termine: eppure sia i traduttori della Commissione europea, sia l’Accademia della Crusca avevano proposto governanza, che si adatta benissimo alla nostra lingua”. Ecco, l’azione di una rete come la REI potrà dunque servire anche a questo: dimostrare che, nonostante la cronica mancanza di autostima dei suoi parlanti nativi, l’italiano non è ancora la lingua colabrodo o la lingua-panda che a volte sembra voler diventare. Salvarla dal tracollo è, certo anche una questione di governanza linguistica.

Lorenzo Tomasin

«Corriere del Veneto», martedì 30 ottobre 2007, p. 12