Il binario del Presidente
Lo stile comunicativo di Napolitano predilige gli abbinamenti di parole: un ritmo funzionale alla ricomposizione del Paese


Il 15 maggio 2006, poco prima di pronunciare il suo discorso d'insediamento davanti alle camere, Giorgio Napolitano formulava il tradizionale saluto al predecessore. Poche frasi sentite in cui emergeva l'intenzione, più volte ribadita in sèguito, d'ispirarsi al modello del presidente uscente. Intenzione confermata sùbito anche sul piano delle scelte linguistiche: nel suo giuramento davanti alle Camere - è stato notato in uno studio dei due linguisti Cortelazzo e Tuzzi - trovano posto ben 40 parole usate in occasione analoga solo da Ciampi (su tutte, il nucleo costituito da "coesione", "convergenza", "integrazione", "pacificazione"). In quel saluto e in quel giuramento spiccava già il tratto stilistico che rappresenta finora la cifra più evidente dell'oratoria di Napolitano: la dittologia, ovvero la tendenza a procedere per coppie di verbi, di nomi, di aggettivi variamente abbinati ("a conoscere e ad apprezzare", "memoria e identità", "le affettuose e generose parole").

Nello scorrere la bibliografia linguistica relativa agli ultimi Presidenti della Repubblica, colpisce - in proposito - la diversa caratterizzazione tra il laico Ciampi e il cattolico Scalfaro. Nel primo prevale appunto un ritmo binario, nel secondo un andamento che predilige la terna: forma mentis dialettica contro paradigma trinitario? Forse la risposta va cercata - più che nella teologia o nella filosofia - nella storia recente del nostro Paese. La logica binaria, infatti, sembra particolarmente funzionale all'oratoria di chi lavora per ricomporre un Paese dimidiato dal bipolarismo, cercando d'incarnare - come Napolitano - l'«imperativo dell'unità nazionale» di fronte a «elettori divisi in due parti quasi uguali».

Se la dittologia sinonimica («con attenzione e con interesse») si presenta come un modo di dar forza - duplicandole - a determinate idee, la dittologia complementare («vigilanza e repressione») e ancora più quella per contrasto («discriminazioni piccole e gravi») si prestano a diventare figure della conciliazione, dell'equilibrio, del bilanciamento, della sintesi. La geometria simmetrica (che in Ciampi si traduceva soprattutto in antitesi e parallelismi) diventa il mezzo per superare «contraddizioni difficilmente sostenibili» e insieme l'icona di un atteggiamento super partes: il ritmo binario come figura bipartisan.

Ma basta un tratto simile a identificare uno stile comunicativo? Fedele al suo understatement, il nuovo presidente ha impostato la propria caratterizzazione piuttosto sul "tôrre" (come dicevano i retori di un tempo) che sul "porre". In questo primo anno, il suo profilo si è definito in buona parte grazie a scelte linguistiche e stilistiche corrispondenti a un processo di sottrazione; con l'intento (riuscito) di attestarsi su un profilo sobriamente istituzionale: rarissimi i superlativi, di fatto assenti impennate sintattiche come le esclamative e le interrogative retoriche.

«Se la politica diventa un continuo gridare, un gareggiare a chi alza più i toni [...] ne soffrono le istituzioni e ne soffre il rapporto con i cittadini». Come si addice a chi si pone al di sopra della mischia, la lingua del presidente evita di compromettersi con il nuovo politichese, tecnocratico ed esterofilo (quasi nessun termine di economia; pochissime le parole inglesi come «leadership» o «roadmap»), tenendosi ben lontana dalle parole d'ordine dominanti (segnalo solo, oltre all'inevitabile «globalizzazione», la bina «equo e solidale»).

Ma evita anche i modi del politichese più classico (nessuna emersione, ad esempio, del Dna ereditato dal Pci) e ricorre con attenta parsimonia agli universali della retorica politica: le enumerazioni (frequenti in Ciampi), le ripetizioni a inizio di frase (così tipiche di Scalfaro), le immagini a effetto (abilmente sfruttate dal Cossiga «picconatore»). Il risultato è quello d'identificare il profilo istituzionale con una lingua che non indulge mai alla solennità e al tempo stesso non concede nulla all'informalità spontanea (di cui fu maestro Sandro Pertini).

Colpisce, in questo stile pacato e asciutto, l'innervamento lessicale che insiste sugli aspetti del movimento e dell'energia. Una semantica dinamica che, partendo dal «grande potenziale rappresentato dal mezzogiorno» e passando attraverso le «energie dei giovani» e il «dinamismo della società civile», si ricongiunge all'«azione incisiva», alla «costruzione» e all'«operosità» tramite l'anello decisivo del «lavoro».

«Lavoro»: una parola importante per tutti i presidenti della Repubblica (138 attestazioni nei messaggi di fine anno dal 1949 al 2005) che ora Napolitano proietta con forza al primo posto della sua agenda. Lo stesso, d'altronde, che occupa nella Costituzione: l'unico testo che il nostro presidente - in genere avaro di citazioni - ama citare quasi sempre negli oltre 80 discorsi ufficiali tenuti fino a oggi.

Giuseppe Antonelli

«Il Sole-24 Ore», domenica 13 maggio 2006, p. 35