Ma come parla, signor Presidente? Un convegno a Padova sul linguaggio usato dagli inquilini del Quirinale
Scalfaro logorroico, Einaudi sintetico, Pertini innovativo

Il più logorroico? Oscar Luigi Scalfaro. Il più sintetico? Luigi Einaudi. Il più innovativo? Sandro Pertini, che amava usare frasi come "amici miei", "giovani che mi ascoltate", "al vostro fianco". E poi ecco il colloquiale eloquio di Saragat, l'istituzionale linguaggio di Cossiga (prima delle picconate), il sobrio argomentare di Ciampi: che è anche l'unico a riferirsi spesso, anche nelle sedi ufficiali, all'esuberante consorte.

Come parlano i Presidenti della Repubblica? Quali contenuti trasmettono e quali emozioni suscitano, rivolgendosi alla nazione nell'appuntamento clou, il discorso di fine anno? A questi interrogativi cercheranno di rispondere statistici, semiologi, sociologi, politologi, storici, linguisti del Corso di laurea in Scienze della comunicazione dell'Università di Padova, in una giornata di studio in programma il 9 maggio nella Sala degli Anziani del Municipio di Padova. La ricerca multidisciplinare è stata promossa dai corsi di laurea specialistica in Giornalismo e in Comunicazione delle organizzazioni complesse di Padova su proposta di Arjuna Tuzzi, docente di statistica sociale, che ne sta curando la pubblicazione assieme a Michele Cortelazzo, vice-preside della Facoltà di Lettere e Filosofia e autore della parte sulla continuità e discontinuità nelle forme retoriche del linguaggio politico.

Quali parole usano, dunque, i Presidenti? Visto il contesto, il termine più usato in assoluto è naturalmente "anno", che tra il primo discorso alla radio di Einaudi nel 1949 e l'ultimo (televisivo) di Ciampi, nel 2005, ricorre 347 volte. Seguono "Italia" (317 volte), "pace" (239) e "popolo (219). «Emergono chiaramente il ruolo e il tono augurale dei 57 messaggi analizzati, comuni a tutti gli interventi», commentano i promotori, che rilevano però le differenze fra lo stile «altamente formale sia dal punto di vista della sintassi che del lessico» dei primi cinque presidenti (Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone), il momento di rottura introdotto da Pertini, «con i suoi messaggi in gran parte a braccio», la parziale restaurazione operata da Cossiga, e infine il linguaggio più vicino al cittadino di Scalfaro e soprattutto Ciampi. Significativo, però, come alla totale identificazione fra il Capo dello Stato e i cittadini, evidente soprattutto con Einaudi (che usava esclusivamente il "noi" inclusivo) e i suoi immediati successori, si sia passati a partire da Saragat ad una progressiva personalizzazione.

Al linguaggio si accompagna, naturalmente, la modalità della rappresentazione (tema di Alessandro Zijno), in quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio rito civile: chi parla seduto allo scrittoio, chi si propone da un salottino, come un padrone di casa che offra ospitalità agli interlocutori. Anche qui i ricercatori notano, con un pizzico di malizia, come nei primi anni delle presidenze i Capi dello Stato tendano a presentarsi agli italiani come ospiti, che entrano nelle case "in punta di piedi"; mentre negli anni conclusivi "la familiarità sostituisce l'impaccio iniziale", e il presidente finisce per immaginarsi infine come un "ospite gradito".

Particolarmente significativa, infine, l'analisi dei contenuti, su cui si soffermeranno, nell'incontro di martedì, soprattutto Gianni Riccamboni e Selena Grimaldi. «Attraverso i discorsi - avvertono infatti gli studiosi - si possono individuare i valori e ricostruire i "progetti politici" presidenziali». Ecco dunque l'enfasi sulla giustizia e sul rispetto dei diritti propri soprattutto di Leone e Scalfaro; ecco il tema della legalità, sottolineato soprattutto da Cossiga e da Ciampi; ecco l'emersione delle tematiche europee, da Cossiga in poi, coniugate con i valori della pace (Scalfaro e Ciampi) ma non disgiunte, soprattutto nell'attuale Capo dello Stato, da una ferma riproposizione del tema della patria, della nazione, della memoria storica. E naturalmente della solidarietà (nazionale e internazionale), come non mancherà di sottolineare martedì il sociologo Italo De Sandre.

Divertente la classifica della lunghezza dei discorsi, messa a punto da Arjuna Tuzzi con Lorenzo Bernardi: delle 91mila parole dell'intero corpus dei messaggi presidenziali, Scalfaro se ne accaparra quasi 25mila. Seguono a distanza Pertini e Cossiga, con 16 e 14mila. Per la cronaca, Scalfaro pronunciò nel 1997 il suo discorso fiume, con circa 5mila parole. La sua parola chiave, dopo "anno" e "Italia", era "augurio", come per Pertini, qualche anno prima, era stato "popolo".

Sergio Frigo

«Il Gazzettino», sabato 6 maggio 2006, p. 4