SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Dare del «bambino» al capo è un’ingiuria
maresciallo condannato

Apostrofare il proprio capo con la parola «bambino» costituisce un'ingiuria ed è «lesivo» della sua personalità. Lo afferma la I Sezione penale della Cassazione, con la sentenza 25084 che ha confermato la condanna a due mesi di reclusione per un maresciallo dei carabinieri del nucleo di Torre Annunziata. Il militare, indispettitosi perché il sottotenente Giuseppe D. - suo capo - lo aveva escluso da un servizio che prevedeva lo straordinario, aveva detto: «Ho 35 anni di servizio e devo essere comandato da un bambino». Questa frase è stata giudicata offensiva sia dal tribunale che dalla Corte d’Appello di Napoli. E invano il maresciallo ha protestato in Cassazione contro la condanna. Secondo i magistrati del «Palazzaccio» «anche la sola espressione bambino riferita a un superiore e proferita in un contesto verbale fortemente polemico e di insofferenza dell’altrui posizione gerarchica, ha valenza certamente lesiva della personalità morale del destinatario».

Non la pensano così i linguisti. «Per noi le parole disdicevoli sono ben altre - afferma Michele Cortelazzo, autore di numerose pubblicazioni tra le quali il ”Dizionario etimologico della lingua italiana -. Linguisticamente parlando sono da evitare espressioni della sfera sessuale e quelle relative ad escrementi». «È evidente - sottolinea il linguista - che in sé e per sé la parola ”bambino” non rappresenta un’ingiuria. Ma ogni espressione deve essere contestualizzata. In questo caso è chiaro che chi ha pronunciato la parola ha voluto mettere in rilevo la differenza di età, utilizzandola quindi in maniera metaforica. Sta di fatto che ci si trova a disagio nel definirla una ingiuria».

Quale deve essere, allora, il confine entro cui esprimersi? «Sicuramente un giudice e un parlante comune si muovono in due universi linguistici diversi - osserva il professor Cortelazzo -. E così il cittadino non ha strumenti che lo possano orientare in maniera tale da evitare guai giudiziari».

«Il Mattino», giovedì 12 giugno 2003