Cronache linguistiche
E se, per semplicità, abolissimo «ovvero» e «codesto»?


Giovanni Acerboni è un esperto di scrittura professionale, dopo essere stato docente e ricercatore in alcune Università italiane e straniere. Cura, tra l'altro, alcuni siti, tra i quali www.scritturaprofessionale.it. In questo sito ha lanciato da qualche tempo un paio di campagne un po' controcorrente: la campagna "aboliamo ovvero" e quella "aboliamo codesto". Si tratta di campagne controcorrente per due motivi: il primo che la comunità linguistica italiana, a differenza di altre, è estranea a pratiche di regolamentazione dell'uso linguistico; il secondo che le attività di normazione linguistica, che qualcuno comunque ha la balzana idea di promuovere, cercano di promuovere l'uso di parole o costrutti di livello formale caduti in disuso, oppure si oppongono all'ingresso nella lingua italiana di forme innovative, in primo luogo forestierismi e neologismi. Acerboni si batte, invece, per l'abbandono di due capisaldi del tradizionalismo, in un settore accentuatamente tradizionalista, qual è quello della lingua amministrativa e della lingua giuridica.

Dico subito che a me le campagne di Acerboni piacciono, per quanto io stesso sia visceralmente liberista in fatto di lingua. Ma qui non stiamo parlando del parlato spontaneo, di per sé difficilmente sottoponibile a tentativi di regolazione. Stiamo parlando di usi di settori professionali ben strutturati, nei confronti dei quali si possono tentare operazioni di persuasione normativa, se non di imposizione. Le forme che Acerboni vorrebbe abolire sono forme che ostacolano l'efficacia comunicativa. Per due motivi diversi: "ovvero" perché può essere ambiguo, "codesto" perché il suo significato è dominato solo da una parte dei destinatari delle comunicazioni amministrative o giuridiche, e spesso non è dominato neppure da chi scrive tali testi.

"Ovvero", a seconda dei contesti, può significare "cioè" ("Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba"), ma anche "oppure" ("compilare in carattere stampatello utilizzando una penna ovvero una macchina da scrivere"). Insomma, può avere dei valori quasi antitetici. Come per molte altre parole polisemiche, sono il contesto o le conoscenze enciclopediche a permettere di capire quale accezione è stata scelta; ma non sempre il destinatario è davvero in grado di comprendere l'accezione selezionata da chi ha composto il messaggio; anzi, a volte, è certissimo che la soluzione giusta sia esattamente l'opposta di quella pensata dall'emittente (nel sito di Acerboni ci sono numerosi esempi, che qui sarebbe complicato riassumere).

"Codesto" pone un altro problema. "Codesto" si colloca in un sistema ternario, di cui fanno parte anche "questo" e "quello" e indica un oggetto lontano da chi emette il messaggio, ma vicino a chi lo riceve (mentre "questo" indica un oggetto vicino a chi emette il messaggio e lontano da chi lo riceve e "quello" un oggetto lontano da entrambi). Però in italiano si sta consolidando un sistema binario, che tiene conto della posizione dell'oggetto solo in relazione al parlante: "questo" indica un oggetto vicino a chi emette il messaggio, "quello" un oggetto lontano (e non ci importa dove stia il destinatario). In questa situazione, non tutti dominano il significato di "codesto" e c'è chi lo prende come una forma più elegante per "questo" (ho riportato alcuni esempi nel mio blog "Parole", http://cortmic.myblog.it).

Ecco perché mi unisco alla campagna di Giovanni Acerboni per abolire "ovvero" e "codesto": nel primo caso sostituendolo, a seconda dei contesti, con gli univoci "oppure" o "cioè"; nel secondo passando dal sistema degli aggettivi e pronomi dimostrativi a quello degli aggettivi e pronomi personali ("in risposta alla richiesta del vostro Ente", eccetera eccetera). Sono sostituzioni facili facili, che permettono di evitare fraintendimenti, errori e quindi costi per i contenziosi e brutte figure. Perché non farlo?

«Corriere del Ticino», mercoledì 21 marzo 2012, p. 35