Cronache linguistiche
L'italiano, lingua della musica


Dire che l'italiano è la lingua internazionale della musica è quasi un luogo comune. Parte della terminologia musicale internazionale è a base italiana (basti pensare, già nel Cinquecento, alla disseminazione dell'it. fuga nel tedesco Fuge, nello spagnolo fuga, nel francese fugue e, da qui, nell'ingl. fugue); nel Settecento cantare un'opera significava quasi esclusivamente, in tutta Europa, cantare in italiano (l'esclusiva, intaccata già a partire dall'Ottocento, è scomparsa nel Novecento); imparare a cantare l'opera lirica è una delle motivazioni più forti che spingono parlanti di Paesi lontani (ad es. la Cina o l'India) a imparare la nostra lingua.

La fase settecentesca di questo processo è stata ben descritta da Gianfranco Folena nella sua opera principale, "L'italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento" (Einaudi 1983). Proprio alla prospettiva presente in quel volume è stata dedicata l'edizione di quest'anno (6-7 maggio) della Piazza delle Lingue, l'evento europeistico organizzato ogni anno dall'Accademia della Crusca e intitolato quest'anno "L'italiano in Europa nel XXI secolo. Per Gianfranco Folena".

In quella cornice, Daniela Goldin Folena si è occupata proprio dell'"italiano dei musici", portando ottimi esempi dell'italiano utilizzato, nel canto ma anche nelle interviste a margine dell'attività canora, da cantanti lirici stranieri e, nelle interviste o nell'interazione tra musicisti, da direttori d'orchestra, solisti e orchestrali.

Il risultato è a volte paradossale. Nelle esecuzioni canore, l'italiano dei cantanti stranieri, proprio perché lingua non nativa, è spesso più puro, più chiaro, più nettamente pronunciato dell'italiano dei cantanti italiani; e l'aiuto della musica fa superare le peculiarità fonetiche più marcate, al limite del parodistico, dell'italiano di parlanti stranieri. Per fare l'esempio più tipico, i cantanti cinesi producono correttamente, durante le esecuzioni, le "erre", che magari tendono a realizzare come "elle" nelle produzioni linguistiche non cantate. In effetti, saper cantare bene in italiano non significa necessariamente saper parlare fluidamente in italiano, come ha dimostrato con casi concreti e interviste dirette la relatrice.

Ma spesso è sorprendente la qualità dell'italiano esibito nelle interviste oltre che da cantanti, da direttori d'orchestra o musicisti stranieri. Infatti, se l'esercizio necessario per eseguire le opere italiane, che restano dei classici inderogabili del repertorio lirico, può spiegare la generalmente buona competenza dell'italiano dei cantanti, non altrettanto ovvia potrebbe essere la competenza linguistica di chi deve "solo" dirigere orchestra e cantanti. Ma non è così, e sarebbe facile portare esempi di israeliani, indiani, russi, lettoni che dominano mirabilmente la nostra lingua.

A spiegare tutto questo ci può essere una questione di abilità personali e professionali: la capacità di riprodurre i suoni e le sequenze della musica si può collegare strettamente alla capacità di riprodurre i suoni e le sequenze sintattiche di una lingua, con un'immediatezza maggiore di chi ha altre esperienze personali. Ma c'è certamente un dato culturale: nell'ambito della musica l'italiano gode ancora dell'"onda lunga" del predominio settecentesco. Ormai sono solo due i settori della vita internazionale nei quali l'italiano gode di una posizione di primo piano: la Chiesa cattolica (nella quale vediamo il secondo pontefice non italiano utilizzare come lingua pubblica primaria l'italiano) e, appunto, la musica. Sul primo aspetto lo stato italiano non può fare nulla per preservare il ruolo che la lingua italiana continua a conservare; sul secondo può, invece, svolgere una funzione di promozione e di salvaguardia dell'uso dell'italiano nella comunità musicale. Sarebbe un'azione ben più proficua a favore della nostra lingua delle mozioni del Parlamento che richiedono, petulantemente (e inutilmente) un maggior ruolo dell'italiano nelle istituzioni europee.

Michele A. Cortelazzo

«Corriere del Ticino», venerdì 3 giugno 2011, p. 29