Cronache linguistiche
Il partito: alla ricerca di un fascino nominale ritrovato


Il movimento un po' confuso che sta caratterizzando la vita politica italiana di questi mesi ha un risvolto linguistico che fosse sta passando inosservato. Ricapitolo: nell'ultimo anno, dopo lunga gestazione, è nato il Partito democratico; è rinato il Partito socialista, quale "casa comune", come si usa dire, di gran parte dei militanti che si erano disseminati nell'intero arco politico dopo la deflagrazione di Tangentopoli; all'estrema destra Storace ha creato un nuovo "soggetto politico" (sempre come si usa dire in politica), "La Destra"; al polo opposto Rifondazione comunista, Comunisti italiani, Sinistra democratica e Verdi si sono federati in quella che pareva si dovesse chiamare "La Sinistra" e che poi si è chiamata, forse provvisoriamente, "La Sinistra-L'Arcobaleno". E a metà novembre Silvio Berlusconi ha creato un nuovo partito, "il grande partito del popolo italiano, un partito aperto che è contro i parrucconi della vecchia politica", nel quale Forza Italia pare destinata a sciogliersi: il "Partito del popolo italiano delle libertà", anzi "Il Popolo della Liberta'', come hanno poi deciso milioni di simpatizzanti domenica 3 dicembre.

Quanti partiti! Con questo, non voglio dire che il panorama politico italiano si frammenta ulteriormente in tante formazioni partitiche (anzi: la maggior parte delle novità che ho riassunto consistono nella (ri)aggregazione di partiti già esistenti). Voglio dire che il nome "partito" ha riacquistato fascino.

Vi ricordate subito dopo Tangentopoli? Sono scomparsi molti partiti, ne sono nati altri, ma quasi nessuno si presentava come partito; e anche quelli che l'avevano fatto, hanno poi fatto presto a ricredersi: il Partito popolare italiano si è sciolto nella Margherita; il Partito democratico della sinistra ha perso per strada il "partito" ed è rimasto "Democratici di sinistra"; il Partito della rifondazione comunista si chiama ancora così, ma quasi nessuno lo sa, perché tutti lo chiamano semplicemente Rifondazione comunista. Del Partito socialista, o, meglio, dei diversi partiti socialisti stento a seguire tutte le numerose tracce; ma il troncone che sta nel centro-sinistra si chiama, attualmente, Socialisti democratici italiani.

Insomma, alla metà degli anni Novanta ci si vergognava un po' a chiamare "partito" un movimento politico: da una parte per distanziarsi dai partiti della cosiddetta prima Repubblica, visti come ricettacolo di uomini dall'etica non sempre cristallina, dall'altra perché, effettivamente, i nuovi raggruppamenti politici non erano più organizzati come i tradizionali partiti di massa. Ecco allora sorgere le leghe, le reti, le alleanze.

È chiaro, a questo punto, qual è la novità del momento attuale: i raggruppamenti politici non si vergognano più di chiamarsi "partito". Se addirittura Silvio Berlusconi, il principale antagonista della concezione partitica della politica, aveva pensato di chiamare il suo nuovo partito, "Partito del popolo italiano delle libertà", vuol dire che il marchio negativo applicato negli ultimi anni al nome "partito" è ormai scomparso.

Poi, le cose non sono così pacifiche. A fine dicembre sembrava esserci una chiara distribuzione del nome "partito": i movimenti moderati (quelli diretti da Veltroni, Boselli, Berlusconi) non disdegnavano quel nome; i movimenti più radicali, da Bertinotti a Storace, sì. E questo, senza distinzione di schieramento. Il ripensamento di Berlusconi, che ha snellito il nome iniziale in "Popolo delle libertà", certamente più efficace, ha ricacciato un po' indietro la novità: i partiti di centro-destra non vogliono apparire, almeno nel nome, come partiti, quelli di centro-sinistra (ma non tutti) sono anche disposti ad accettare quel nome, nell'ultimo decennio piuttosto vituperato, indipendentemente dalla vera natura del loro movimento (e infatti nel raggruppamento di Veltroni, che pure si è autodenominato "Partito democratico", è tuttora incerto se avranno cittadinanza due rituali fondamentali dei vecchi partiti, il tesseramento e i congressi).

Michele A. Cortelazzo

«Corriere del Ticino», martedì 17 dicembre 2007, p. 27