Cronache linguistiche
I verbi modali, Severgnini e la lezione di Montanelli


Beppe Severgnini, "l'uomo del sabato" di "Io donna", nella rubrica del 5 maggio, sostiene che la frase "Ronaldo non avrebbe dovuto andare al Milan" è sbagliata. "Ma è uno sbaglio che commetteva anche Montanelli (e lo difendeva!). Non bisogna infatti guardare il verbo modale (dovere), bensì il verbo principale (andare, intransitivo, ausiliare essere). Quindi: Ronaldo non sarebbe dovuto andare al Milan".

Un parlante del Nord dovrebbe contare almeno fino a duemila prima di accusare un toscano di fare errori di lingua. Chi mai avrà detto al povero Severgnini che è sbagliato usare il verbo "avere" davanti ai verbi modali seguiti da un intransitivo? Immagino la scuola. Ma la scuola ha reciso molte delle possibilità espressive dell'italiano parlato dai toscani. E questo solo per la volontà di semplificare artificialmente la naturale complessità della nostra lingua. Il guaio è che noi non toscani crediamo di più alla scuola che all'uso, toscano e non. Severgnini, nella sua apodittica lezioncina, pecca di presunzione (ma, sia chiaro, non è il solo: risposte analoghe dà, nel sito del "Corriere della Sera", Giorgio De Rienzo, definito "docente universitario ed esperto linguista"). Dietro queste affermazioni c'è un pregiudizio normativo, l'idea che esista una èlite che è padrona della lingua e possa dire cosa è giusto e cosa no. In realtà è vero, la lingua ha i suoi padroni; ma non sono una èlite, sono i parlanti, tutti i parlanti, compresi quelli che dicono "ho dovuto andare" e "ho voluto arrivare in anticipo".

Ma c'è di più. Questa faccenda degli ausiliari dei verbi modali sembra una questione di norma che cambia: finora era obbligatorio usare l'ausiliare del verbo principale, oggi c'è chi, magari per ignoranza, generalizza l'uso di "avere". Invece no, è una questione di grammatica; entrambi gli usi degli ausiliari sottostanno a regole profonde che governano la nostra capacità di parlare in italiano. Quando pensiamo agli ausiliari dei verbi modali non badiamo ad altre caratteristiche di questi verbi; e invece dovremmo, perché le regole di una grammatica seria non concernono solo un aspetto della lingua, ma ne spiegano più d'uno. E quanti più fenomeni una regola riesce a spiegare, tanto più attendibile è la grammatica.

Vi siete mai accorti che possiamo dire sia "Luca vuole darli a Marta" (i cioccolatini, per esempio) sia "Luca li vuole dare a Marta", mentre se diciamo "Luca li desidera dare a Marta" non produciamo una frase italiana? In italiano si dice solo "Luca desidera darli a Marta". È anche possibile dire "Quelle case si vorrebbe vendere a peso d'oro" e "Quelle case si vorrebbero vendere a peso d'oro", ma non "Quelle case si desiderano vendere a peso d'oro". E infine, per tornare al discorso iniziale, si dice "Luca ha voluto partire prima" e "Luca è voluto partire prima", ma non si può dire, in alternativa alla forma con "avere", "Luca è desiderato partire prima".

Questi fatti sono collegati. Se usiamo il verbo "desiderare", infatti, abbiamo una sola gamma di possibilità: completare la frase con un complemento oggetto ("Luca desidera la torta") o con una frase oggettiva ("Luca desidera che la torta la mangi tu" o "Luca desidera mangiare la torta"). Con i verbi modali, invece, di possibilità ne abbiamo due: seguire le stesse regole di "desiderare" e degli altri verbi simili oppure trattare il verbo modale più o meno come un ausiliare e considerare "voler mangiare" quasi come un solo verbo. È in questo caso che i verbi modali non hanno un ausiliare proprio, possono anticipare il pronome, possono accordarsi, se c'è il si passivante, con il complemento oggetto. Ma solo in questo caso: negli altri il verbo modale funziona come ogni altro verbo, e quindi, tra le altre cose, si tiene il suo ausiliare stabile, che è "avere".

Ecco perché la frase la frase "Ronaldo non avrebbe dovuto andare al Milan" è pienamente italiana. Ed ecco perché Severgnini dovrebbe seguire, anche in questo, l'aureo insegnamento di Indro Montanelli.

Michele A. Cortelazzo

«Corriere del Ticino», lunedì 25 maggio 2007